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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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De Natura Deorum III,38
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originale
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[38] Qualem autem deum intellegere nos possumus nulla virtute praeditum? Quid enim? Prudentiamne deo tribuemus, quae constat ex scientia rerum bonarum et malarum et nec bonarum nec malarum? Cui mali nihil est nec esse potest, quid huic opus est dilectu bonorum et malorum, quid autem ratione, quid intellegentia; quibus utimur ad eam rem, ut apertis obscura adsequamur; at opscurum deo nihil potest esse. Nam iustitia, quae suum cuique distribuit, quid pertinet ad deos; hominum enim societas et communitas, ut vos dicitis, iustitiam procreavit. Temperantia autem constat ex praetermittendis voluptatibus corporis: cui si locus in caelo est, est etiam voluptatibus. Nam fortis deus intellegi qui potest, in dolore an in labore an in periculo: quorum deum nihil adtingit.
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traduzione
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38. Per noi e impossibile concepire un dio sfornito di virt?. Ma come ci regoleremo allora? Gli attribuiremo la
virt? della prudenza, cio? la facolt? di discernere il bene dal male e da ci? che non ? n? bene n? male? Ma che bisogno
ha un essere che non soggiace n? pu? soggiacere ad alcunch? di male di possedere la facolt? di distinguere il bene dal
male? Che bisogno ha di ragione e di intelligenza? Sono facolt? che a noi servono a chiarire ci? che ? oscuro: ma per un
dio non esiste oscurit?! Quanto alla giustizia, che distribuisce a ciascuno il suo, non ha certo nulla a che fare con la
divinit?: ammettete voi stessi che essa ? una mera creazione della comunit? umana. La temperanza poi si riduce
all'astensione dai piaceri e il volerle assegnare un posto in cielo significa ammettere implicitamente che lass? vi siano
anche i piaceri. Come concepire, inoltre, un dio forte nel dolore, nella fatica e nel pericolo se la divinit? ? indenne da
tutto ci??
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